DVA: una finestra sulle complicanze del diabete
In Medicina si studiano la fisiologia e la patologia. La fisiologia analizza l’organismo (o il tessuto o l’organo) ‘sano’. La patologia l’organismo (o il tessuto o l’organo) ‘malato’. «Lo strumento che SOStegno 70 ha messo a nostra disposizione ci permette di aprire una finestra straordinaria soprattutto sul ‘confine’ fra fisiologia e patologia, vale a dire alcuni dei processi attraverso il quale un organo ‘sano’ diventa o rischia di diventare ‘malato’», spiega Gianpaolo Zerbini, responsabile del gruppo di ricerca Complicanze del Diabete dell’Ospedale San Raffaele.
Il Dynamic Vessel Analyzer acquistato da SOStegno 70 con un finanziamento della Fondazione Vodafone è arrivato intorno a Natale al San Raffaele suscitando grandissimo interesse. È uno strumento molto sofisticato che si basa su un principio semplice: gli eritrociti presenti nel sangue assorbono una parte specifica dello spettro luminoso (dando il colore rosso al sangue). Gli altri tessuti presenti nella retina invece generalmente la rifrangono. Analizzando la luce riflessa in quella parte dello spettro è possibile vedere non solo la ‘mappa’ bidimensionale delle arterie e arteriole come in una normale fundografia, ma bensì le ‘colonne’ di sangue presenti nel vaso sanguigno in un dato momento. Insomma, si ottiene un’immagine tridimensionale del vaso e si può valutare quindi il diametro dell’arteria. Anzi, qualcosa di più, perché la Dva non scatta solo delle foto ma, con una telecamera, riprende anche dei ‘filmati’ nei quali è possibile vedere in tempo reale la variazione del calibro dell’arteria davanti a uno stimolo.
Dva e Fundografia sono due strumenti complementari. La fundografia è ottima per valutare la progressione di una retinopatia diabetica ormai conclamata mentre il Dva in queste situazioni (così come nei casi di cataratta, distacco parziale della retina o forte miopia) non è utilizzabile.
Ma perché è così importante valutare il calibro dell’arteria? «Perché diversi studi hanno rilevato – o proposto – una correlazione fra la elasticità delle arterie nel fondo dell’occhio e il rischio di sviluppare tutta una serie di complicanze: la retinopatia diabetica, che sappiamo essere correlata alla nefropatia diabetica, la neuropatia e perfino gli eventi cardiovascolari: infarti e ictus», continua Zerbini, laurea e specializzazione in Diabete e Malattie del Metabolismo e Dottorato in Fisiopatologia Clinica alla Statale di Milano e in Nefrologia alla Università Vita-Salute.
Per questa ragione, non appena si è sparsa la voce dell’arrivo dello strumento, Zerbini è stato contattato da numerosi gruppi di ricerca del San Raffaele. «Per prima cosa stiamo progettando insieme alla professoressa Mara Lorenzi, docente ad Harvard e visiting professor alla nostra Università, uno studio sulla predizione della retinopatia», continua Zerbini che ha fatto ricerca per due anni alla Harvard Medical School, «ma so che altri colleghi stanno impostando progetti di ricerca».
Un progetto caro a Zerbini è l’ipotesi di prevenire o curare le complicanze con l’assunzione di C-Peptide. Che cosa è? Si dice comunemente che la beta cellula produce insulina, in realtà produce la proinsulina che nel pancreas è spezzata in due elementi l’insulina e il connecting peptide (noto come C-peptide). Il C-peptide sembrava non avere nessuna funzione a parte quella di assicurare alla molecola dell’insulina una corretta struttura in fase di sintesi per poi essere escreto con le urine una volta compiuta la sua missione. Ma davvero non serve a nulla il C-peptide? L’ipotesi che viene avanzata attualmente è che il C-peptide, modulando vie intracellulari non ancora completamente identificate, abbia un’azione protettiva nei confronti delle complicanze del diabete per esempio sui nervi e sui reni, ma anche sulla stessa retinopatia diabetica. Questo spiegherebbe perché gli analoghi dell’insulina che iniettiamo abitualmente (senza C-peptide) per quanto perfetti e ben calibrati, non danno un risultato al 100% soddisfacente soprattutto per quel che riguarda la neuropatia autonomica o distale.
«Noi stiamo facendo delle ricerche su modelli animali ma se la Dva permettesse davvero di misurare in modo molto fine l’effetto del C-peptide direttamente sui capillari retinici (che sono bersaglio elettivo del diabete), potremmo impostare un trial sull’uomo per valutare il potenziale effetto benefico dell’assunzione di C-peptide», afferma Zerbini.
Soprattutto, il C-peptide potrebbe spiegare perché, nonostante i nuovi protocolli terapeutici (per esempio con il microinfusore) assicurino una somministrazione quasi fisiologica d’insulina, il rischio di sviluppare complicanze del diabete, anche se sostanzialmente ridotto e ritardato nel tempo, non è stato ancora azzerato. «È interessante notare invece che dopo il trapianto di solo pancreas (che secerne insulina e C-peptide) è stato possibile dimostrare, in alcuni casi, una regressione delle lesioni renali dovute a nefropatia diabetica. È un caso? Al momento, «nonostante il fatto che il numero degli indizi stiano aumentando, non vi sono prove conclusive che il C-peptide», continua Zerbini, «possa influenzare il funzionamento del rene, del sistema nervoso periferico o dei capillari retinici ma per confermare l’ipotesi ci vorrebbe uno strumento che misuri con molta finezza l’effetto della assunzione di C-peptide e il Dva potrebbe essere proprio quello che ci serve».
Il Dva che è stato donato da SOStegno 70 è il primo modello di questo genere installato in Italia con lo scopo soprattutto di prevenire e curare la retinopatia diabetica. All’estero, soprattutto in Germania e Austria lo strumento è presente da più tempo e viene attualmente usato in studi clinici mirati alla predizione della eclampsia nelle donne in gravidanza. L’eclampsia (un forte e pericoloso squilibrio della pressione arteriosa nella fase finale della gravidanza) sembra correlata alle alterazioni dei vasi retinici. «Visto che tra il momento della predizione e il momento in cui l’eclampsia può manifestarsi passano pochi mesi, è stato possibile validare velocemente la capacità predittiva dello strumento in questo campo e avvicinarsi rapidamente a un utilizzo clinico», conclude Gianpaolo Zerbini.